(55 ca - 120 ca) uomo politico e storico romano.La vita e le opere Incerti sono luogo e data di nascita, la paternità e lo stesso prenome (Publio o Gaio). Oggi si propende a credere che sia nato nel 56-57 in Gallia Narbonense (da un padre di rango equestre e probabilmente agente finanziario nella Gallia Belgica e nelle due Germanie), oppure nell’Italia Transpadana da famiglia di recente origine ma già ragguardevole per censo. Visse la maggior parte della sua vita a Roma, dove si introdusse ben presto nella società imperiale: ricevuta la dignità senatoria da Vespasiano, partecipò attivamente alla vita politica, perfezionandosi intanto nell’oratoria. Sposata la figlia del grande Agricola a poco più di vent’anni (77), fu questore nell’81-82, pretore nell’86, console nel 97. Abbandonò poi decisamente l’oratoria per dedicarsi alla storia, e da allora preferì tenersi lontano dalle cariche pubbliche. Dopo il consolato, ebbe solo un governatorato nella provincia d’Asia, quasi certamente nel 112-13: aveva allora già pubblicato le Storie, che gli avevano portato in breve tempo grande celebrità, e stava per iniziare la stesura degli Annali (forse nel 115-17), che compose, per la maggior parte, sotto Adriano. Si ha ragione di datare approssimativamente la sua morte nel 123, sicuramente dopo il 117.Le opere di T. ci sono giunte assai incomplete; nulla ci è rimasto della sua attività forense, ragguardevole a giudizio dei contemporanei. Il primo lavoro (pare dell’80), attribuitogli con qualche persistente riserva, è il Dialogo sull’oratoria (Dialogus de oratoribus), opera retorica lacunosa: vi si cercano le cause della decadenza dell’oratoria nella mancanza di libertà civili e nella degenerazione politica e sociale. L’Agricola (De vita et moribus Iulii Agricolae) è la sua prima monografia storica, composta nel 98: la commossa biografia del suocero, caduto vittima della gelosia di Domiziano, si inserisce nel genere encomiastico delle esaltazioni funebri. La Germania (De origine et situ germanorum), l’altra monografia storica, pubblicata quasi contemporaneamente alla prima, è la descrizione geografica ed etnografica dei popoli e luoghi germanici tra il Reno e il Danubio.Le due grandi opere storiche di T., prodotto della sua piena maturità artistica e scientifica, ci sono giunte estremamente lacunose: erano complessivamente in 30 libri, 14 attribuiti solitamente alle Storie, 16 agli Annali. Le Storie (Historiae), pubblicate forse nel 109, andavano dall’avvento al potere di Galba (68-69) alla morte di Domiziano (96): ci sono rimasti i primi quattro libri e metà del V, fino all’incontro di Ceriale e Civile del 70. Gli Annali (Annales) trattavano la storia di Roma dalla salita al potere di Tiberio (14) alla morte di Nerone (68): abbiamo i primi quattro libri, un frammento del V e parti del VI (mancano i capitoli iniziali), cioè fino alla morte di Tiberio, nel 37, e i libri 11-16 (l’11 è lacunoso, al 16 manca quasi una metà), dal processo di Valerio Asiatico del 47 all’eroica fine di Trasea Peto nel 66, in età neroniana.L’ideologia e lo stile Sia le brevi monografie sia le opere maggiori sono sostenute da una esplicita e tesa passione etico-politica e dalla partecipazione alle sorti di Roma attraverso l’analisi del contemporaneo divenire. In particolare, le opere maggiori costituiscono un corrosivo bilancio del primo secolo di esperienza monarchica dal punto di vista di un intellettuale, il quale, benché proclami di voler fare storia in modo imparziale (sine ira et studio), esprime il punto di vista dell’opposizione senatoria alla pratica imperiale. Risalendo a ritroso nella storia, T. individua il «peccato originale» nella svolta anticostituzionale operata da Augusto, dietro una formale facciata repubblicana, e denuncia le conseguenze nefaste del sistema dinastico, pur senza rifiutare l’istituzione del principato che riconosce come ormai insostituibile e necessaria per l’unità dell’impero. Le opere di T. si possono quindi leggere come documento della inconciliabilità tra libertas e principatus, in una visione storica essenzialmente individualistica (d’altronde comune a tutta la storiografia antica), che fa discendere la dinamica degli eventi dalla personalità e dalle scelte dei grandi. Così, attorno alla personalità dei singoli imperatori si addensa l’indagine volta a coglierne i moventi e i meccanismi psicologici, in una tensione drammatica senza soste e non senza incomprensioni, ma sempre con l’obiettivo più alto di capirne il percorso, di individuare le ragioni profonde del loro comportamento. La storia è raccontata a tinte fosche, con rilevature energiche e appassionate, in uno sforzo di analisi rigoroso e intransigente; il suo austero senso dello stato induce T. a impiegare forme retoricamente «tragiche», cioè solenni, tendenzialmente poetiche, lontane dalla comune convenzione linguistica. E d’altra parte sia la drammaticità stessa dei fatti, intricati e contraddittori, sia l’impegno di T. a raffigurare in modo impietoso e apparentemente impassibile una realtà infida e degradata, esigono una tecnica narrativa a sorpresa, ricca di asimmetrie, di variazioni, di condensazioni e ineguaglianze in cui si accampano luci e ombre e dove anche il particolare ha valore tonale. Strumento specifico della narrazione tacitiana è lo stile scarno e irregolare, intessuto di vocaboli rari o arcaici e di costrutti anomali, in cui le strutture sintattiche si spezzano in asindeti, la concisione è spesso perentoriamente ottenuta con la soppressione del verbo: una scrittura tesa e incisiva che raggiunge effetti di ineguagliata suggestione.Alle grandi opere di T. si ispirò una feconda corrente storiografica rinascimentale-controriformistica, il tacitismo, e tuttora, per il contenuto e lo stile, T. è considerato paradigmatico.